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Giancarlo Macciantelli©2013

Mio fratello Raul

 

Qualche volta penso al triste periodo della guerra 1943/1945.

Prima dell'arrivo degli Alleati , nel nostro Appennino vi erano molte truppe tedesche.

I tedeschi sfilavano armati ed inquadrati per le strade di Porretta Terme, cantando a voce alta canzoni militari.  

Oggi la mia memoria è tornata a quegli anni: ritengo fosse nella primavera/estate del 1944, che nella cantina della casa di Gaggio, dopo che eravamo fuggiti da Bologna, erano nascosti: mio babbo  ferroviere di Bologna militarizzato, il mio unico  fratello Raul, disertore dalla Polizia Ferroviaria nella quale dovette arruolarsi perché diversamente o avrebbero fucilato mio padre o avrebbe dovuto arruolarsi nelle brigate nere, oppure l'alternativa era di finire in un campo di concentramento in Germania, due miei cugini  Gino Zuccarini e Scopi Luigi, renitenti  di leva, un nostro vicino di casa il sig. Silvio Barzini, che in un primo tempo era stato catturato dai tedeschi ed arruolato a forza nella TODT per scavare fossati anti-carro e postazioni in cemento per cannoni ai confini con la provincia di Pistoia,  il tutto per fermare l'avanzata degli Alleati, ma poi  fuggito dalla TODT e ritornato a Gaggio.          

Mio fratello inizialmente fu assegnato alla POLFER di Bologna, ma una sera assieme ad un suo superiore, un brigadiere,  notò che allo scalo merci di San Donato due soldati tedeschi stavano per spiombare lo sportellone di un carro merci pieno di zucchero. 

Il brigadiere - dopo aver inutilmente dato l'alt - con la pistola a tamburo "Glisenti"  sparò, ma non colpì i tedeschi.

Allora chiese a mio fratello di sparare con il fucile moschetto "Carcano" 91/38,che aveva un caricatore di 6 colpi e con un'asta di ferro che fungeva da baionetta, ripiegabile verso la canna del fucile.

I due tedeschi fuggirono tramite lo spazio tra un carro e l'altro.

I colpi finirono in parte sullo spigolo destro del primo carro-merci e gli altri sullo spigolo sinistro del vicino carro-merci.

Per precauzione e per evitare rappresaglie tedesche, mio fratello fu trasferito a Porretta Terme, sempre nella POLFER.

Nella piazza di Porretta c'era e c'è ancora la gioielleria/oreficeria Pranzini. 

Un giorno alcuni porrettani si presentarono al comando della POLFER , unica forza di polizia presente, in quanto i Reali Carabinieri erano stati deportati in Germania,  dicendo che un camion tedesco era davanti alla oreficeria e i soldati avevano collegato con una catena la maniglia della saracinesca  del negozio con il paraurti anteriore del camion.

Con strattoni violenti  tentavano di scardinare la serranda.             

Il sottufficiale comandò a mio fratello e ad un altro poliziotto di andare a vedere cosa stesse succedendo.

I due giovani arrivarono nella vicina piazza ed intimarono ai tedeschi di andarsene. La risposta fu "PICCHE". Allora i due giovani, imbracciato il fucile in dotazione,  fecero fuoco sul camion.

I tedeschi fuggirono, e i due fessacchiotti rientrarono in caserma.

Il loro comandante chiese cosa era accaduto, e i due raccontarono cosa avevano fatto.
 

A questo punto il sottufficiale-comandante si mise ad imprecare ed  a urlare dalla disperazione: <Avete sparato sui tedeschi! Ma siete matti! Ora vengono qui e ci fucilano o ci portano in Germania. Voi due sparite subito , non vi voglio più vedere>.

E così furono cacciati.

I due, però prima di uscire,  riempirono  con munizioni, bombe a mano , ecc... due zaini a testa , presero anche due mitra MAB (Moschetto Automatico Beretta) e fuggirono  in direzione di Montefiorino.

Arrivati lì, mio fratello decise di tornare in famiglia nella nostra casa di Gaggio, mentre l'altro poliziotto, avendo la famiglia ed i parenti  nel profondo Sud-Italia, restò con i partigiani della Repubblica di Montefiorino.

Verso le due o le tre di notte sentimmo bussare alla porta di casa: era mio fratello Raul.

Fu nascosto nella nostra cantina interrata, alla quale si accedeva da una botola ricavata nel pavimento di casa, formato da lunghe assi di legno. 

Tante volte i tedeschi erano entrati nella nostra casa, avevano camminato sul pavimento con gli scarponi che portavano il tacco  bordato in ferro.

Nessuno di loro si  era mai accorto che il pavimento  "suonava a vuoto". 

Una volta un tedesco, l'ultimo di una lunga fila, entrò in casa nostra, si piegò sino a terra e con la mano pulì quel tratto di pavimento sul quale era stata gettata una certa quantità di bacchetti e che era vicino alla botola camuffata.

Io ero presente, in quel momento sapevo che mio fratello con in mano la "Glisenti" (revolver a tamburo con 6 grossi proiettili e manico tondo tipo cilindrico, in legno e che al termine aveva una anella metallica) attendeva che il tedesco, se avesse scoperto l'esistenza di una botola, la sollevasse.

Sapevamo cosa avrebbero fatto gli altri soldati tedeschi.

In casa avevamo e lo abbiamo ancora un grande quadro di S.Antonio da Padova.  Forse Lui sa come mai il tedesco non si accorse di nulla.
 

Durante i primi mesi del 1944 e sino a circa la fine del settembre  1944, io avevo l'incarico di stare all'esterno e di camminare attorno alla nostra casa. In tasca tenevo una manciata di chicchi di grano o frumentone.  

L'accordo con i vicini contadini era che questi non dovevano dare da mangiare alle loro galline.

Quando da lontano io vedevo avvicinarsi una pattuglia tedesca, dovevo chiamare a voce alta le galline, con il classico “....PI, PI, PI....” gettavo un po' di granaglie per terra e le galline correvano.   

Ma correvano anche - a nascondersi - gli uomini che vivevano nei dintorni. 

Il mio  “...PI, PI, PI....”  veniva raccolto e ripetuto anche da altri ragazzi, nelle aie poco lontane.

 

Nelle case di montagna era consuetudine tenere le foto dei familiari vivi o defunti dietro i vetri dei mobili o credenze.

I tedeschi entravano in casa nostra, salivano nelle stanze e con la mano sentivano se sotto le lenzuola  il materasso era ancora caldo.

Contavano quanti letti c'erano, quanti eravamo noi presenti, mia mamma ed io, quante foto di uomini c'erano dietro i vetri dei mobili e poi ci gridavano minacciosamente  in faccia in tedesco che le foto erano di  uomini, che per loro erano  partigiani. 

Io la lingua tedesca non l'avevo mai studiata, però sapevo rispondere con sicumera in tedesco "Mensch arbeiten in Bologna fur Deutscher Kameraden", e cioè che gli uomini erano a lavorare a Bologna per i camerati tedeschi.

 

Un pomeriggio del tardo autunno del 1943, o inizio del 1944, mio  fratello Raul ed  il mio cugino Luigi Scopi, stanchi di stare nascosti e chiusi nella nostra cantina interrata, decisero di vedere se il cielo esisteva ancora. 

Assieme a loro andai nel nostro orto ed iniziammo a tirare dei sassi contro i rami di un nostro grande albero di noci.  Le noci cadevano, ma sulla strada vicina, cadevano con grande rumore anche i sassi.

La sfortuna fu che nella parte alta della strada (via Luigi Tanari) c'era una sentinella tedesca la quale,  sentendo il cadere dei sassi, anziché farsi i fatti suoi, con cautela iniziò a scendere verso di noi.

Alla vista del soldato, mio fratello e mio cugino si nascosero entro un piccolo casottino in legno, funzionante da W.C. all'aperto.

A quei tempi si usava così.

Ma il tedesco che li aveva  visti, iniziò ad urlare chissà cosa nella sua lingua, puntò il mitra verso il casottino e poiché i due non trovavano  il coraggio di uscire fuori, era sul punto di sparare.    

Io guardavo il tutto, terrorizzato.

A questo punto sentii il rumore di altri scarponi, che scendevano lungo la strada, verso di noi.

Pensai che se fosse arrivato un altro soldato tedesco, era la fine.

Invece entro quegli scarponi c'erano i piedi di un vecchio, caro amico di famiglia  il sig. Luigi Bartoloni,  padre di un Carabiniere, il quale resosi subito conto della situazione, chiamò in dialetto gaggese i due fifoni ordinandoli di uscire subito e di raccogliere le noci cadute ed offrirle al tedesco.

Il militare (che non potrò dimenticare) non molto alto, grassottello, sicuramente di oltre 50 anni, che probabilmente vedeva in quei giovani , un proprio figlio costretto a fare una guerra forse non condivisa, non accettò l'offerta delle noci, si guardò attorno, abbassò il mitra e senza dir nulla, risalì la strada e se ne andò.

E' inutile aggiungere che mio fratello e mio cugino per qualche tempo non ebbero più voglia di uscire all'aperto.

Da parte mia, la paura mi aveva bloccato.