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Giancarlo Macciantelli©2013

ALCUNI PERSONAGGI DELLE FAMIGLIE CAPPONI CHE NACQUERO A GAGGIO MONTANO  O A PORRETTA TERME.    


Dopo la famosa battaglia di Monteaperti, in Val d'Arbia combattuta nel 1260  e ricordata anche da Dante nell'incontro con Farinata degli Uberti, nel X° canto dell'Inferno, le famiglie Guelfe, sconfitte dai Ghibellini, lasciarono la città di Firenze e molte di loro, nella speranza di rientrare in città entro tempi brevi, non si allontanarono molto da Firenze, ed alcune si sistemarono anche nei paesi della montagna bolognese, ai confini con la Toscana.
Una di queste, fu quella dei Capponi che, giunta a Gaggio Montano, fece costruire numerose case attorno al Sasso (oggi più noto come Sasso di Rocca). Si narra che Gaggio già esistesse ai tempi del Re Astolfo e da un documento del 753 si deduce che vi fosse  un "giardino con casino di delizia" (probabilmente una villa con parco privato) pertinente alla Regina Geltrude.
Abbandonata l'idea di rientrare in armi a Firenze, i Capponi si diedero agli studi letterari.
Un ramo della famiglia,  nel 1529 fu al servizio del Conte Agnolo (o Angelo) al governo della Contea della Porretta, feudo nobile dei Ranuzzi e vi rimase sino al 1620.
NICOLA CAPPONI, più noto come COLA MONTANO, nacque nella prima metà del secolo XV a Gaggio  Montano. Di lui sono note solo alcune poche cose : era figlio di Morello, aveva fratelli e sorelle, molti nipoti, cognati ed affini; alcuni possedimenti acquistati e non ereditati dal padre. Non si ha traccia dell'infanzia e degli studi giovanili di Cola.
E' probabile che egli studiasse nell'Università bolognese e siccome nella "Confessione" scritta di proprio pugno in latino il 13 Marzo 1481 dinanzi ai giudici di Firenze che lo inquisirono, il Cola si dichiarò "chierico" della Diocesi di Bologna, risulterebbe che inizialmente manifestò il desiderio di vestire l'abito ecclesiastico, intenzione però ben presto abbandonata.  
Di certo si sa che nel  1462 il Cola era già a Milano : fu alla corte del Duca Francesco Sforza e della Duchessa Bianca, in quanto si era sparsa per tutta Italia la fama del Duca che favoriva in mille modi i letterati. L'essere educatore  nella casa sforzesca procurò a Cola grandissima stima presso la cittadinanza milanese. Conobbe tra gli altri il Fidelfo, il Mombrizio e il prof.Gabriele Paveri Fontana.
Morto il Duca Francesco nel 1466, salì al trono ducale  il primogenito Galeazzo Maria che, a 22 anni, si trovò padrone del vasto stato milanese. Scrittori come  il Litta, il Gherardini, il Fabroni ed il Roscoe lo definirono libidinoso, impudente, feroce, brutale, pessimo principe e lo paragonarono a Nerone.  
C. Cantù, nella Storia Universale, dà del Duca Galeazzo il seguente  giudizio:
" Al gusto delle pompe e delle voluttà sordide, Galeazzo associava quello delle sevizie e delle torture raffinate, e non si saziava se a spaventosi supplizi non univa le facezie, se le sue libidini non condiva con uno sfacciato trionfo e la disperazione dei mariti e dei genitori disonorati ".
Il Muratori , negli  Annuali d'Italia anno 1476, scriveva : " L'eccesso della sua ambizione, libidine e crudeltà, produsse il frutto ordinario dei vizi, cioè l'odio quasi universale della gente ".
Tutti gli storici di quel tempo, non venali e non striscianti in aspettativa dei favori di corte, lo dipinsero con i caratteri più foschi.
Con lettera datata 12/11/1468 inviata dal Duca Galeazzo ai Signori del Consiglio Segreto, fu stabilito che a Cola Montano fosse elargito un compenso di 150 fiorini, elevabili fino a 170 fiorini, per avere il Cola letto la retorica per parecchi anni senza compenso e gli fu affidata la cattedra di lingua e lettere latine.
Ma non fu questa l'unica attività in cui il Cola si prodigò nel periodo milanese, cercò di promuovere l'arte della stampa, allora appena agli inizi.               E' del 1472 la società tipografica  stipulata tra Antonio Zaroto, celebre tipografo, il prete Gabriele Orsoni, il prof.Gabriele Paveri Fontana, il libraio Pietro Antonio da Castiglione ed il Capponi.
Il primo libro edito dalla società fu il "Compendium de partibus orationis" appositamente commissionato dal Capponi a Giorgio da Trebisonda.
La società, che avrebbe dovuto durare per almeno tre anni, si dissolse dopo poco più di un anno, probabilmente a causa delle acute discordie tra il Capponi e G.Paveri Fontana, ma forse ciascuno dei due cercava, a scapito dell'altro, un posto di maggior favore presso il Duca e dell'essersi la società specializzata , come appare nel contratto, in "iure canonico, iure civili ac medicina" argomenti piuttosto estranei agli interessi del Capponi.
Il governo di Galeazzo Maria, nel frattempo, diventava sempre più inviso alla gran maggioranza della popolazione e dei nobili milanesi, sia per i numerevoli fallimenti in politica estera, sia  per il carattere sempre più autoritario ed assolutistico che stava assumendo.
In questo clima il Capponi divenne il portavoce ed il banditore della restaurazione dell'antica virtù romana, del classico amore per la libertà e dell'odio per il tiranno.
Il Duca venne, nel suo insegnamento, ad assumere le vesti di Tarquinio; mentre come modelli ai suoi discepoli  portava gli esempi di Bruto, Cassio, Catilina e di tutti i tirannicidi della antichità greca e romana. 
I giovani che più si infervorarono a quell'insegnamento e che divennero i suoi più fedeli ed inseparabili discepoli ( il Capponi si occupò anche di istruirli nell'uso delle armi, inviandoli segretamente presso Bartolomeo Colleoni ) furono Girolamo Olgiati, Gian Andrea de' Lampugnani e Carlo Visconti, gli stessi cioè che  il 26 Dicembre 1476 uccisero il Duca  Galeazzo.
Dopo l'assassinio del quale, il popolo levatosi a tumulto ed afferrati il Lampugnani ed il Visconti, mentre fuggivano, ne fecero giustizia sommaria. Il cadavere del primo fu lasciato alla folla che lo trascinò per le vie della città.  L'Olgiati, che era riuscito a sfuggire a quello strazio, andò a cercare rifugio nella casa paterna, ma il padre ed i fratelli gli ricusarono l'asilo. La madre invece lo raccomandò ad un sacerdote che, vestitolo in abito talare,  lo nascose nella propria casa.  Due giorni dopo l'Olgiati uscì, forse con la speranza di evadere dalla città. Ma, riconosciuto da taluni, fu preso e consegnato alla giustizia che,  durante i tre giorni in cui fu rinchiuso nel Castello, l'obbligò a mettere per iscritto tutto il piano.
Girolamo Olgiati, catturato dopo la congiura, iniziò con il nome del Capponi la sua confessione davanti ai giudici:
""Cola de Montanio de Sagio, Bononiensis, vir summi ingenii et eloquentiae, praeceptor  meus....""
L'Olgiati fu condannato ad essere tanagliato e fatto in minuti pezzi.  
L'operato del Capponi fu probabilmente suggerito anche da rancori personali contro il Duca: infatti nel  giugno del 1474 lo Sforza l'aveva rinchiuso in carcere per 13 giorni, forse perché si erano diffusi alcuni epigrammi, attribuiti al Capponi  contro G. Paveri Fontana che, in qualità di precettore del fratello del Duca, era diventato personaggio di notevole autorità.
Uscito dal carcere, venne nell'anno seguente di nuovo incarcerato con l'ignominiosa accusa di aver violentato una fanciulla. Paolo Giovio parla anche di una fustigazione pubblica che il Capponi avrebbe subito ad opera dello Sforza che, memore delle frustate ricevute dal Capponi quand'egli era suo allievo, una volta divenuto Duca di Milano, avrebbe voluto in questo modo vendicarsi della troppo severa educazione ricevuta dall'antico maestro.
Alla fine del 1475 il Capponi decise di abbandonare per sempre Milano ( non fu dunque presente al momento dell'uccisione del Duca ) ; nel biennio 1476/1477 è tra i lettori di retorica e poesia dello Studio bolognese.
L'ultima fase della sua vita fu particolarmente movimentata. Il Capponi stesso ne ha rilasciato precisa testimonianza nella sua "Confessione" scritta e recitata a Firenze nel 1481 davanti ai giudici , come giustificazione del suo operato antifiorentino, poco prima della condanna a morte.
In essa il Capponi espose con numerosi particolari ed in modo piuttosto caotico le sue molte ed avventurose vicende biografiche dal 1475 al 1482, ne risulta un’instancabile attività, densa di difficili ambascerie e di trame  politiche, al servizio ora d'uno ora d'un altro signore.
Nicola Capponi si recò a Lucca, spinto da Piero Vespucci, per avvertire la città delle mire di Firenze e di Milano. Poi prese parte al tentativo di Niccolò d'Este contro lo zio Ercole, ma Niccolò fu ben presto scoperto e giustiziato.          Poverissimo, il 12 Aprile 1478 partì dalla valle del Reno bolognese, deciso a portare al Re di Napoli - per pochi soldi - il piano di un fuoruscito pistoiese che voleva sottrarre la città ai fiorentini ed offrirla alla lega avversaria. Fatto conoscere il piano anche al Conte Girolamo Riario, divenne da allora suo fedele collaboratore e consigliere. 
Il Capponi dunque era entrato in quell'acceso clima antifiorentino che caratterizzava la politica di Napoli e di Roma, almeno sino al 1480, anno in cui Lorenzo de'Medici, con il suo coraggioso viaggio a Napoli, ottenne la pace con l'Aragonese.
Perché il tanto elaborato piano per la conquista di Pistoia fosse più facile, il Capponi si recò una seconda volta a Lucca, per convincere i lucchesi a sottrarsi definitivamente a qualsiasi legame con la casa de'Medici.  Pronunciò in quella occasione la famosa "Oratio ad Lucenses". L'orazione fu stampata ripetutamente dal 1480 , ma a detta del Capponi senza il suo consenso; egli dichiarò infatti ai fiorentini che essa fu stampata ben differente da come era stata pronunciata  e nella stampa, infatti, le parole del Capponi sono intessute delle più svariate ingiurie contro Firenze e contro Lorenzo de'Medici, il quale assunse nelle parole del Capponi le vesti di un bieco e diabolico tiranno.
Nel gennaio del 1480, trovandosi a Napoli, il Capponi ricevette da  Neri Acciaiuoli, esiliato fiorentino, la proposta di uccidere Lorenzo de'Medici che appunto era a Napoli per stipulare la pace con l'Aragonese. Ma il Capponi rifiutò, forse perché il compenso promessogli dall'Acciaiuli era troppo esiguo o forse perché non volle mai compiere praticamente ciò che aveva insegnato teoricamente. Ultima delle sue trame politiche fu il tentativo di macchinare contro Pisa per conto del Riario, l' irriducibile nemico dei fiorentini.   Mentre tornava verso Roma, il Capponi fu catturato sugli Appennini bolognesi dalle truppe fiorentine ed in suo possesso furono trovati i compromettenti capitoli del trattato d'alleanza contro Pisa. La recita  della "confessione" non riuscì a commuovere i fiorentini; fu processato, condannato a morte ed impiccato, per ordine di Lorenzo de'Medici, alle finestre del Bargello.
I giudici che ascoltarono la confessione di Cola Montano furono : "Giovanni Battista de'Lambertini bolognese, giudice d'appello della città di Firenze, Simone de'Simoncelli da Civitavecchia, Officiale del mercato  della città di Firenze, Barnaba degli Accursii da Visso, dottore in leggi e Collaterale del Podestà di Firenze, Gio.Stefano da Montesanto, piacentino, dottore in ambo i diritti, secondo Collaterale  del Podestà di Firenze Girolamo de'Nugustioni, da Reggio, giudice criminale del Podestà di Firenze Pier Antonio Cannulli, da Aquila, capitano della piazza della città di Firenze."

ANNIBALE CAPPONI ,  nacque a Porretta nel 1536. La data è incerta perché in seguito ai disordini accaduti in Porretta sotto il papato di Sisto V° , furono bruciati gli archivi parrocchiali.
Il padre Girolamo, letterato ed autore di componimenti poetici in latino e la mamma Eleonora Bartolini - nota per la sua religiosità - erano nativi di Porretta, pur essendo gli avi della famiglia Capponi, originari di Firenze. Il nonno paterno, Sante,  fu Commissario dei Conti Ranuzzi in Porretta, che a quei tempi era conosciuta come Bagni della Porretta.
Annibale ebbe un fratello, Marc-Antonio, che vestì l'abito domenicano nel Convento di Bologna, con il nome di Fra Cherubino ed una sorella, Laura, che professò i voti religiosi con il nome di Suor Virginia, nel Convento delle Monache della SS.Concezione, ove morì nel 1562. 
Divenuto giovanetto, Annibale sentì fortemente l'attrazione verso la vita religiosa.  
Entrò nell'ordine dei Domenicani, fondato da San Domenico di Guzman (1170-1221) allo scopo di predicare il Vangelo per la salvezza delle anime. Per questa ragione i Domenicani sono da sempre indicati come l'Ordine dei Predicatori  (O.P.).
Vestì l'abito domenicano il 25/10/1552 all'età di 16 anni nella Chiesa di San Domenico in Bologna e l'anno successivo pronunciò i voti.  Divenne uno dei migliori letterati dello "Studio", tanto che fu scelto per insegnare ai suoi compagni. In ciò lo aiutò il suo temperamento gioviale ed allegro.  
Da quel momento, il giovane Annibale assunse il nome di Padre Serafino, in seguito detto il "Porrettano".  Studioso di chiara fama e scrittore di rare capacità espressive, fu autore di varie pubblicazioni, commentò ed approfondì le opere di San Tommaso di Aquino.
Ma già da allora lo tormentò un dubbio che lo assillerà per trent'anni e cioè che la sua ordinazione non fosse stata effettiva ; così la sua devozione fu - se possibile - ancora più attenta e sofferta.
Conseguito il titolo di lettore, fu inviato nel Convento di Santa Caterina a Finale Ligure ad insegnare filosofia e metafisica ; poi in Romagna nel Convento di Santa Maria di Modigliana.  Insegnò filosofia a Faenza,  poi teologia morale  a Reggio Emilia.
Fu in seguito nominato lettore  di metafisica nello Studio generale del Convento di Bologna dove tenne lezioni, particolarmente su Aristotele.
Nel 1573 si recò nella nuova Congregazione di Abruzzo eretta dal P. Fra Paolino Bernardini da Lucca e vi rimase per sette anni tra il Convento di Rieti e quello de L'Aquila, come lettore ed insegnante  di morale, teologia, filosofia e Sacra Scrittura, riscuotendo fama di santità.
Iniziò anche la sua attività di predicatore richiesta dall'Ordine, che lo avrebbe portato in diverse città d'Italia.  Fu a Napoli nella Chiesa di San Pietro Martire. Tornato a Bologna, fu inviato come reggente ed ispettore dell'Ordine a Ferrara nel Convento di San Domenico poi, nel 1580, in quello di Venezia dove si trattenne per 25 o 26 anni e dove furono stampate diverse sue opere.             Nel 1606,  in seguito alla controversia giurisdizionale tra Venezia e la Santa Sede, dovette tornare a Bologna prima che Venezia fosse colpita dall'interdetto papale.  
Abitò nel Convento di San Vincenzo di Ronzano. Insegnò teologia per due anni ai giovani del Convento dei Padri Certosini, della Certosa di Bologna, tornando solo raramente al  suo Convento. A causa dell'età e della malferma  salute, i suoi superiori non gli permisero di proseguire questo faticoso incarico. Fu pertanto riaccompagnato al suo Convento, con il compito di  spiegare la Sacra Scrittura in Chiesa, cosa che continuò a fare sino alla morte.
La sua umiltà lo spinse a rifiutare ogni titolo onorifico ed ogni carica, dal baccellierato  alla reggenza dello Studio di Bologna, dal Magistero della provincia alla reggenza del suo Convento, fino alla dignità cardinalizia, offertagli dal Cardinale Alessandrino, intimo collaboratore del Papa. Rifiutò pure l'invito di questo Cardinale a recarsi a Roma, dove era giunta la fama delle sue opere contro le eresie. 
Scrisse diversi libri dei quali sono noti i titoli. Della "ELUCIDATIONES FORMALES IN SUMMAM THEOLOGICAM S.THOMAE DE AQUINO"  esiste una edizione in cinque volumi del 1588 stampata a Venezia ed un'altra edizione veneziana in sei volumi del 1612, intitolata "SUMMAE TOTIUS THEOLOGIAE DIVI THOMAE DE AQUINO ANGELICI ET S.ECCLESIAE DOCTORIS CUM ELUCIDATIONIBUS FORMALIBUS".
Ad ogni  articolo sono premessi quei passi delle Scritture  o dei più famosi teologi, che gli apparvero più adatti;  infine in un'appendice furono chiarite quali eresie venivano confutate in quei passi.  Al testo furono aggiunti sia i commenti del Cardinale Caetano, sia opuscoli di Cristoforo Iavelli, di Guglielmo Tocco, di Bartolomeo di Spina, oltre a lettere del Caetano a vari Pontefici.      L'ultima opera, continuata fino in punto di morte, è "COMMENTARII IN PSALTERIUM DAVIDICUM"  edita postuma a Bologna nel 1692.
Negli scritti di molti autori vi sono riferimenti alla vita del Padre Domenicano Serafino Capponi.
Alla notizia della sua morte, avvenuta in Bologna il 2/1/1614, una folla enorme accorse presso la Chiesa di San Domenico.  I Padri Domenicani non riuscirono ad impedire che la salma fosse spogliata dai fedeli, desiderosi di conservare una qualche reliquia. Furono tolte ciocche di capelli, un frate asportò l'unghia dell'alluce del piede sinistro. 
In quei giorni avvennero alcuni miracoli, confermati poi dall'autorità dell'ordinario.
Subito dopo la morte ed a richiesta di due gentiluomini bolognesi, fu fatta l'impronta delle mani e del viso con un calco in gesso. Fu anche ritratto da un pittore, di cui però non si è trovata traccia del nome. Fu sepolto nel cimitero comune dei Religiosi. 
In seguito, con decreto della Santa Congregazione dei Riti, la salma fu traslata in Chiesa, nella Cappella di san Tommaso d'Aquino, nella notte del 29/4/1614 onde evitare che i fedeli accorressero per impossessarsi di qualche altra reliquia.  Aperta la bara, fu notato che il corpo era intatto e che l'alluce del piede sinistro - a distanza di quattro mesi - era ancora rosso di sangue.             La fama di santità, che già l'aveva accompagnato in vita, per la sua povertà assoluta, per le sue mortificazioni ed astinenze, per la modestia claustrale della sua esistenza sia a Venezia che a Bologna, divenne ancor più grande in seguito ad una serie di presunti prodigi, di apparizioni e di guarigioni, indagati dall'Arcivescovo Alessandro Ludovici. 
Non fu riconosciuto beato dalla Chiesa, anche se tale lo consideravano già alcuni suoi contemporanei.
Da tempo, nella Chiesa di San Domenico in Bologna è esposto un suo busto, il cui viso fu tratto da un calco della salma.
Per tanti anni, gli studenti di quello che era un vicino istituto tecnico, venivano a pregare dinanzi all'immagine del Venerabile Serafino, specialmente in prossimità degli esami scolastici. Forse erano a conoscenza della sua grande volontà e determinazione nello studio.
Nel 1998 e cioè a distanza di qualche secolo dalla morte e casualmente, fu ritrovata in un sottoscala del campanile della Chiesa di Santa Maria Maddalena in Porretta, una tela incorniciata, raffigurante il Padre Domenicano Serafino Capponi. Lo stato di conservazione era disastroso!
Il Parroco Don Franco Govoni ed il Prof. Renzo Zagnoni, divulgarono la notizia ed in uno degli incontri annuali degli ex-allievi del Collegio Albergati di Porretta (istituito  da Mons.Augusto Smeraldi), l'anziano preside Mons.Francesco  Marchi, nel ricordare che in Porretta esiste da tempo una strada ed una edicola dedicate al Venerabile Serafino Capponi, segnalò il fortuito ritrovamento del quadro.  
Furono raccolte notizie presso il Padre Reginaldo Orlandini dei Padri Domenicani di Bologna, circa la vita del Padre Serafino.
Il quadro fu poi mostrato agli ex-allievi ( di cui molti sono di Gaggio ), nella Cappella di San Rocco in Porretta e l'entusiasmo del ritrovamento infiammò anche la sig.ra Clara Castelli, ex-allieva del Collegio Albergati, che si fece valida promotrice di una iniziativa per il restauro del quadro e per la divulgazione della devozione al Venerabile Serafino.
Ma qui, la vicenda si tinse di giallo !  Infatti verso la fine del mese di Ottobre 1998 Don Franco Govoni si accorse che il quadro del  " nostro Serafino "  era sparito.
Stupore, amarezza e disorientamento, che fortunatamente durarono solo poche settimane. Accadde che Don Enea Albertazzi notasse su una panca all'interno della Chiesa di Silla, di cui era Parroco, un involto. Lo aprì e scoprì che si trattava della tela trafugata a Porretta.
Purtroppo, l'autore del furto non solo aveva maggiormente danneggiato la tela arrotolandola ma, peggio ancora, per rimuoverla dalla cornice ne aveva tagliato tutto il bordo attorno.  La gioia del recupero della tela si unì così alla costernazione per i nuovi danni procurati.
A questo punto la sig.ra Clara Castelli non ebbe più dubbi : bisognava iniziare subito una raccolta di fondi per il restauro!
Il sig.Umberto Contini, proprietario del ristorante La Veranda, diede generosamente l'avvio alla sottoscrizione a cui parteciparono tra gli altri anche alcuni ex-allievi dell'Albergati.
La competenza e le mani delle restauratrici , dott.a Monica Ori e sig.na Carlotta Scardovi, hanno ora riportato la tela all'ammirazione dei porrettani che, attualmente, nella Cappella di San Rocco possono pregare e sperare che il Domenicano Padre Serafino Capponi, loro concittadino, conceda qualche miracolo, onde poter avere la speranza di vederlo riconosciuto come Beato. 

GIOVANNI CAPPONI , nacque a Porretta il 18/10/1586. Il padre, Guidotto Capponi, era fratello di Giovammatteo, commissario dei Conti Ranuzzi e la madre Pellegrina era parente del modenese Dott.Claudio Betti, filosofo primario dello Studio di Bologna. Giovanni apprese dallo zio Giovammatteo lo studio della grammatica, in seguito iniziò gli studi delle lettere greche, della poesia latina e successiva-
mente della filosofia, avendo come precettore l'altro zio Pellegrino, medico e filosofo.
A 17 anni fu inviato dagli zii a Bologna, in qualità di discepolo e commensale, presso il celebre anatomista Flamminio Rota, dal quale apprese la teoria e la pratica della anatomia, della fisica e della chirurgia.                         Fu membro dell'Accademia degli Instabili, fondata dallo zio Pellegrino, prendendo come simbolo un arcolaio, con il motto "FERMO NEL PIEDE SON, SE BEN M'AGGIRO" e come pseudonimo "VOLUBILE". Nella casa di Filippo Certani, fondò l'Adunanza dei Selvaggi, assumendo lo pseudonimo "ANIMOSO" e come simbolo un uccellino che scuoteva le ali per uscire dal nido ed il motto "MANCA LA FORZA".               All'età di 20 anni pubblicò le sue prime rime intitolate "Oziose occupazioni, poesie".
Fu amico del Guarino, del Marino e del Bracciolino. L'anno seguente fu rappresen- tata dalla Accademia dei Selvaggi, la sua favola pastorale "Tirinto".  Ma questi suoi sforzi poetici gli procurarono gravi rampogne da parte del Domenicano Serafino Capponi  (del quale diceva: ""Chiaro non meno per lettere teologiche, che venerabile per opinione di santità"") che era cugino di suo padre ed anche dello zio paterno D. Giovambattista, monaco certosino, suo severo censore che spesse volte lo minacciò di revocargli la propria protezione.
Due anni dopo conseguì la laurea del dottorato. Postosi al servizio del Cardinale Bonifazio Caetano, ne descrisse i meriti nel "Panegirico" e nel volume "Rime" e quindi ne divenne suo confidente al tempo della Legazione del Cardinale in Romagna. Giovanni Capponi fu anche incaricato dallo stesso Cardinale di rivedere e correggere i di lui componimenti, alla memoria del quale dedicò le poesie raccolte nell' "Euterpe; cioè tutti gli idilli riordinati", stampato a Milano.    In seguito, decise di trasferirsi a Roma, abbandonando il desiderio di sposare la gentildonna Gostanza Canobia. 
Fu accolto nell'Accademia degli Umoristi, con il nome di "Ostinato" e con il simbolo di un polipo attaccato ad un sasso  e con il motto "In periculo tenacior". Tornato a Bologna, raccolse  in una sola pubblicazione tutte le sue poesie e la intitolò "Polinnia, poesie nuove". Inoltre, scrisse "L'Airone" dramma rappresentato in musica alle nozze reali del Principe Vittorio Amedeo con Cristiana di Francia.  Per tale componimento,  fu invitato alla Corte di Carlo Emmanuel Duca di Savoia, con promessa di cattedra in Torino e della Croce dei Santi Maurizio e Lazzaro, ma il Capponi - forse per non legarsi indissolubilmente a quella Corte -  rifiutò il tutto e si recò presso la Corte di Scipione Gonzaga, Principe di Bozzolo (Mantova),  dove vi rimase per tre anni in qualità di medico e di intimo consigliere in quei difficili tempi per le turbolenze esistenti tra il Principe e Ferdinando Gonzaga, Duca di Mantova, il cui fratello Vincenzo - che poi gli successe nel poco felice ducato - gettata la Sacra Porpora, aveva sposato Isabella, madre del Principe.
Giovanni Capponi, che in precedenza aveva studiato astrologia, fece pubblicare i suoi "Discorsi astrologici dal 1622 per tutto il 1629". Per le sue veritiere predizioni, ricevette onori e consulti dalle più ragguardevoli Province d'Europa. Tornato a Bologna, divenne medico e confidente del Cardinale Legato Ruberto Ubaldino, al quale fece due predizioni che in seguito si avverarono. Quando il Cardinale Ubaldino lasciò la Legazione, invitò il Capponi a seguirlo a Roma, ma la moglie e i giovani figli gli proibirono di accettare tale invito.  Si ammalò di podagra e fu costretto a letto o al tavolino, per cui la sua casa divenne meta di letterati e di personalità di Bologna, tra cui il Cardinale Ludovico Ludovisi ed il Principe di Bozzolo. 
Sin dal 1620 era iscritto ad una Accademia con il nome di "Selvaggio" e con il simbolo di un'aquila che, volando, usciva da un boschetto, con il motto "Non omnes arbusta iuvant". Sebbene fosse considerato un astrologo e un politico, non tralasciò mai le amenità poetiche nelle quali ebbe sempre tale facilità che poetava anche discorrendo familiarmente con gli amici. 
Quattro anni prima della sua morte, il Senato di Bologna l'aveva dichiarato  Astrologo dello Studio. Quando la moglie fu colpita dalle febbri, per le quali a Bologna vi furono molti morti e la stessa nel delirio perse la favella e rimase in agonia per nove ore, Giovanni Capponi disse che se la propria moglie moriva, avrebbe bruciato tutti i suoi libri. Fortunatamente la moglie guarì, ma quaranta giorni dopo lo stesso Giovanni si ammalò gravemente e morì il 18/8/1629  all'età di circa 43 anni, dopo aver ricevuto con grande devozione i sacramenti della Chiesa.
Il suo corpo fu seppellito nella Chiesa della Madonna di Galliera dei P.P. dell'Oratorio, senza memoria alcuna in quanto erano vietate iscrizioni nella loro Chiesa. Lasciò due figli, il maggiore dei quali non aveva ancora compiuto i nove anni.
Da Ferdinando III° Imperatore e Re d'Ungheria ebbe in dono le Tavole Rodolfine e dal Cardinale Ludovisi due nobili catene d'oro. Ebbe amicizie sincere con molti poeti  e con tutti i letterati di Bologna. Tenne corrispondenze con Galileo, Keplero, Argoli e Zoboli. Si interessò anche di pittura e dei suoi pareri si giovarono  Agostino e Ludovico Carracci, Guido Reni, Lionello Spada, Francesco Albani ed altri.
Ebbe ottimi rapporti con i parenti di sua moglie, tra i quali Protesilao Malvezzi e con il Conte Romeo Pepoli, il Conte Costante Bentivogli, il senatore Alberto Bolognetti, il senatore Girolamo Guastavillani, il senatore Francescomaria Guidotti, ecc.
Può essere interessante ricordare che nella nota n° 2 di pag.90 della pubblica- zione "Notizie degli scrittori bolognesi" di Giovanni Fantuzzi è riportato quanto segue : "" Nel 1447 Niccolò V°  Pontefice, eresse la Terra della Porretta col suo distretto, in Contea e Feudo Pontificio e ne investì con sua Bolla, in data primo maggio, Niccolò di Giacomo Sanuti. Nell'anno poi 1471 essendo Niccolò Sanuti ultimo di sua famiglia senza prole, Girolamo di Antonio Ranuzzi, Senatore e dottore di filosofia e medicina, essendo stato spedito a Roma in compagnia di Lodovico Marescotti Calvi a rendere omaggio a nome della città a Sisto IV° Pontefice, richiese ed ottenne per se e suoi, la investitura di detto Feudo della Porretta, dopo la morte del Sanuti. ""

PELLEGRINO CAPPONI , nacque a Porretta, ma non si hanno notizie circa l'esatta data di nascita, (forse per la distruzione degli archivi parrocchiali.)          Era figlio di Pasquale e zio di Giovanni Capponi.  Studiò filosofia e medicina  a Bologna, alle scuole di Giovanni Zecca, di Gabriele Beati, di Claudio Betti e di altri.
Secondo quanto scrive l'Alidosi in ""Dottori di filosofia, medicina e teologia"", Pellegrino Capponi prese la laurea dottorale in medicina e filosofia nell'anno 1575. In un volume di poesie, scritte dal Pellegrino si trova un ""Carmen ad Joannem Zeccham Praeceptorem suum"". Altro "" In obitu Gabrielis Beati Praeceptoris sui"". Altro "" In obitu Claudii Betti Philosophi Praeceptoris sui"".
Di lui, Giovanni Fantuzzi scrive : "" Coltivò ancora le lettere greche e la poesia, massime latine, ed eresse un'Accademia col nome degli INSTABILI. 
Divenuto poi medico della Terra della Porretta, e di que' Bagni, scrisse un libro della MEDICINA DELLE ACQUE PORRETTANE, null'altro però esponendo che quanto ne aveva detto Giovanni Zecca nel suo trattato ""De Aquarum Porrectanarum usu"" stampato l'anno 1576,  a riserva, che ebbe la dovuta avvertenza di tenere esatto conto e di riferire molte e molte di quelle infermità e di quei casi, nei quali egli stesso ocularmente avea osservato essere le Acque Porrettane efficace rimedio, o cagione almeno di riguardevole vantaggio a quegli infermi, che ad esse erano ricorsi.""
Non sono noti né la data, né il luogo in cui morì Pellegrino.
Da una recente ricerca, è emerso che il Padre Domenicano Gio.Michele Piò, nello scrivere della vita del frate Serafino Capponi, pubblicata nel 1615, dice che : "" Pellegrino Capponi, zio di Serafino, vivea ancora in età decrepita a' Bagni della Porretta"".
Sono stati recuperati circa una ventina di manoscritti, redatti in latino, di cui si conoscono i titoli.
BIBLIOGRAFIA:
Per Nicola Capponi  (Cola Montano)
1) Girolamo Lorenzi : "COLA MONTANO - STUDIO STORICO" Milano 1875. Da pagina 9 a pagina 144.
2) Francesco Berlan : "IL PROPUGNATORE"  Anno 1876. Da pagina 363 a pagina 372.
3) DIZIONARIO BIOGRAFICO DEGLI ITALIANI . Roma 1976. Da pagina 83 a pagina 86.    
Per Annibale Capponi  ( Fra Serafino Capponi  O.P.)
1) Rev.Padre Fra Gio.Michele Pio' : "VITA E MORTE DEL VENERABILE PADRE MAESTRO FRA SERAFINO CAPPONI DELLA PORRETTA, DELL'ORDINE DEI PREDICATORI" Bologna 1615. 2) DIZIONARIO BIOGRAFICO DEGLI ITALIANI.  Roma 1976. Da pagina 97 a pagina 99.

Per Giovanni Capponi:
1) Valerio Zani : "MEMORIE, IMPRESE E RITRATTI DEI SIGNORI ACCADEMICI GELATI DI BOLOGNA" . Bologna 1672.  Da pagina 274 a pagina 280.
2) Giovanni Fantuzzi : "NOTIZIE DEGLI SCRITTORI BOLOGNESI". Bologna  1783. Da pagina 90 a pagina 96.
3) DIZIONARIO BIOGRAFICO DEGLI ITALIANI. Roma 1976. Da pagina 55 a pagina 57.

Per Pellegrino Capponi:
1) Giovanni Fantuzzi : "NOTIZIE DEGLI SCRITTORI BOLOGNESI". Bologna 1783. Da pagina 96 a pagina 97.