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Giancarlo Macciantelli©2013

I militari a casa mia 


 

Un giorno  (verso la fine del 1943)  mia mamma ed io andammo in alcune fattorie che erano  verso Ronchidos nel tentativo di acquistare qualche uova e/o un po’ di farina.

Mio babbo e mio fratello rimasero in casa al “Poggio”.

Era il periodo in cui la fame  cominciavamo a scriverla con le lettere maiuscole.

Al ritorno, con le borse vuote, trovammo in casa  tre o quattro soldati tedeschi, verso i quali mia mamma non dimostrò  una cordiale ospitalità.

Ma mio babbo, allargando le braccia, ci fece capire che chi comandava erano loro. Presero alloggio in una nostra stanza al piano terreno, chiusero la porta interna ed iniziarono ad installare una radio rice-trasmittente.

Un lungo filo di rame uscendo dalla finestra, andava a collocarsi in cima ad un grande albero dei contadini del “Poggio”, dopo aver attraversato  ad una notevole altezza la strada che conduce al vicino cimitero.

E così la radio iniziò a funzionare.

Io, sempre in cerca di guai, silenziosamente appoggiavo l’orecchio contro la porta interna, però pronto ad allontanarmi quando sentivo che i soldati iniziavano a camminare verso la porta. 

Ascoltavo senza capire cosa significassero  quelle frasi che venivano trasmesse. Allora decisi di imparare a memoria diverse parole che frequentemente venivano ripetute e poi via di corsa nella attigua casa abitata da mio zio, a ripeterle.

Mio zio aveva lavorato come agricoltore in Germania e perciò conosceva sufficientemente la lingua; prendeva nota, ma bonariamente mi “ordinava” di stare molto attento, perché se mi avessero scoperto erano guai per tutti.

Chiaramente io continuavo a disubbidire e a riportargli ciò che sentivo da dietro la porta.

Ricordo che la parola più frequente,  rassomigliava al nome della città svizzera  Zurigo (Zurùck = indietreggiare).

 

Nei mesi di giugno/luglio del 1944 , soldati tedeschi perquisivano le abitazioni del paese, catturando tutti gli uomini che riuscivano a prendere,  ritenendoli partigiani e derubando quanto trovavano.

Un giorno un soldato mi puntò la canna del mitra nella pancia e con quella  mi spinse dentro casa gridando  “BROT , BROT” (= pane, pane).

Ma io con decisione, nel mio scarso linguaggio tedesco, risposi “NICHTS BROT FUR ALLE”(= niente pane per  tutti).

 

Poi nella  prima decade dell’ottobre 1944 , in seguito alla rappresaglia nazista a Ronchidos, ritenemmo di fuggire velocemente dalla abitazione  del “Poggio”. Chiudemmo il portone ed abbandonammo la casa.

 

Molti mesi dopo, quando tornammo, fummo informati che un gaggese di nostra buona conoscenza, durante il tempo in cui eravamo  presenti  nella nostra casa di Granaglione, aveva forzato il portone esterno a due ante ed aveva ritenuto opportuno appropriarsi di tutto ciò che poteva interessargli.

 

Un giorno, quando ero a Granaglione , verso il tardo pomeriggio, sentii che i PRACINHAS stavano festeggiando per le strade,  molto rumorosamente.

Erano rientrate varie autoblinde  del “Segundo Pelotãon de Cavalaria Blindada”: corsi a vedere e la mia curiosità fu appagata.

Infatti sul retro di una autoblinda era legato il lungo cartello stradale metallico indicante “Gaggio Montano” che per loro significava che erano stati a contatto diretto con i tedeschi.

Dentro le autoblinde a tre assi (sei ruote)  i proiettili del cannoncino  calibro 38 m/m erano terminati, c’era stato un duro combattimento, così mi raccontarono. 

E quindi con loro feci festa anch’io, gridando a tutti - ed abbracciandoli - che io ero di Gaggio Montano.

Poi, tornati a Gaggio, trovammo ancora legata al camino sul tetto, la bandiera bianca con in mezzo la croce rossa.

I vicini ci dissero che i medici americani avevano per diversi mesi adibito la nostra casa come posto di pronto soccorso (First Aid ) ed infatti i nostri vari materassi erano inzuppati del sangue dei feriti brasiliani.

In casa c’era una cassetta di legno con dentro molti libretti: erano Bibbie stampate in inglese.

C’erano scatole tonde di latta di 10 cm. circa di diametro con dentro qualcosa che sembrava “grasso per gli scarponi”, ma che invece poi appresi che era una pomata lenitiva.

C’erano piccole punte di metallo, da me ritenute puntine per grammofoni, ma poiché il grammofono non c’era, rimasero un mistero, chiarito  solo quando  negli anni seguenti  dovetti accomodarmi  sulla “poltrona” di un dentista con davanti le puntine del trapano.

Poi tante riviste americane con bellissime foto a colori in doppia pagina e che  illustravano la guerra nelle isole del Pacifico ed anche tanti fogli di carta con l’intestazione in rosso: American Red Cross. 

Ma il mistero che rimase irrisolto per alcuni anni, fu determinato dalla presenza di bottiglie vuote, di una modellata sagoma strana, alte circa 25 cm. contenenti ancora parecchie gocce di uno sconosciuto liquido scuro, che annusai ma non capii niente: allora tentai di trovare un coraggioso volontario disposto ad assaggiare  la rimanenza di quel liquido.

Ci fu un unanime rifiuto assoluto.

Per tutti noi  era un pericoloso medicinale.

Inoltre la scritta in rilievo sul vetro della bottiglia: “Coca Cola”  ci convinceva sempre più che si trattava di un prodotto ospedaliero.

Passarono anni e le bottiglie di “Coca Cola” arrivarono anche a Bologna ed allora le mie risate durarono a lungo.

 

Gli ultimi soldati a sostare in casa mia a Gaggio Montano, furono i militari della censura postale brasiliana che, nella seconda metà del mese di aprile 1945, al momento di andarsene, ci abbracciarono tutti, (um  abraço) come era loro consuetudine salutarci, lasciandoci però un affettuoso ricordo e tanta “SAUDADE“.