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Giancarlo Macciantelli©2013

Come si smontavano le bombe 
 

Fu nella primavera del 1945 che, sull'esempio di alcuni miei coetanei di Gaggio  - che dalle varie case del paese venivano al Poggio e nel parco del Cav.Antonio Zanini  ( tra cui i fratelli Battistini) - appresi la " tecnica" dello smontaggio dei lunghi proiettili da cannone.  

Credo fossero munizioni da m/m.105 "M" composte da alti bossoli in ottone, in seguito utilizzati come portafiori sull'altare della Chiesa, e da  proiettili di cm.40 o più di lunghezza.            

Uno dei ragazzi prendeva il "pezzo"  dalla parte del proiettile, ed un altro dalla parte terminale del bossolo ed i due irresponsabili battevano il centro del "pezzo"  su una grossa pietra, onde deformare l'imbocco del bossolo e permettere il distacco del proiettile esplosivo, che veniva depositato anche con malagrazia sull'erba. Dal bossolo erano estratti vari  sacchettini  di tela bianca  contenenti la polvere necessaria per il lancio, si trattava probabilmente di balistite o forse di una miscela di nitroglicerina e di nitrocellulosa. Con il contenuto di un  sacchettino  sparso sul terreno, veniva formata una più o meno lunga miccia. 

La nostra stupidità raggiungeva il culmine quando avvicinavamo con la mano la fiammella di un fiammifero alla polvere. La vampata e la corsa del fuoco era rapida e quando raggiungeva il  mucchio dei sacchetti, lascio immaginare cosa succedeva. Poi passai allo smontaggio delle bombe a mano americane, quelle con 48 schegge. Credo fossero chiamate "modello ananas". Ormai ne conoscevo tutti i segreti. Svitavo con disinvoltura la testa della bomba, sfilandola però con delicatezza, anche perché temevo che quel tubino - denominato miccia a lenta combustione interna e che terminava con il detonatore - collegato alla testa della bomba, fosse l'innesco per l'esplosione. 

Un giorno, in cui l'intelligenza proprio mi mancava  (può capitare), presi una bomba  a mano ed entrai nella parte superiore di quel casone denominato "il portico" e posto nell'aia del Poggio dell'allora casa colonica dei signori Mattarozzi. Dentro vi erano tre soldati brasiliani con il loro sergente; sul pavimento molta paglia che serviva da giaciglio per i militari.              Con atteggiamento altamente professionale (in quelle occasioni, in fatto di stupidità ero secondo a pochi), iniziai ad "insegnare" ai soldati come si smontava una bomba a mano.

Alla vista di ciò e dopo un urlo - che mi è rimasto nelle orecchie - i tre soldati si  gettarono faccia a terra con le mani premute sulla  testa sfoderando nei miei confronti un classico ed urlato linguaggio da  caserma. Io intanto continuavo nella mia dimostrazione con la sicumera propria di chi non capisce niente. Il sergente, invece, con gli occhi spalancati dalla  paura, pendeva con il  corpo verso di me e avvicinandosi lentamente con la mano destra tesa e balbettandomi l'invito a rimanere calmo e fermo (bom rapaz!!!), riuscì a farsi consegnare la bomba già mezza smontata. Gliela diedi controvoglia e solo perché aveva insistito. Avutala in mano, la lanciò immediatamente fuori dal finestrone del "portico", appena in tempo per sentirne la potente esplosione. Fortuna per tutti che la mia esibizione era stata interrotta dal sergente.             Ritenni opportuno sgusciare alla svelta dalle mani dei militari che in quel momento non sembravano molto ospitali nei miei confronti - visto le promesse che poco prima mi avevano fatto - e fuggire velocemente.