Giancarlo Macciantelli©2013
21 febbraio 1945
Ed eccoci alla ricorrenza dell'assalto della FEB a Monte Castello e della sua conquista. Tanti morti, tanti episodi di eroismo ed anche di dolore.
Verso la fine del mese di gennaio 1945 eravamo già rientrati a Gaggio M. da Granaglione e pertanto potemmo assistere all'ultimo massacro per la presa di Ronchidos e Monte Castello. La mia casetta è di fronte a quella che era la linea del fuoco.
Il fragore delle cannonate - in arrivo ed in partenza - squarciava l'aria.
In un gruppetto di case vicine, sulla loro aia, i camion Chevrolet e GMC scaricavano i corpi dei PRACINHAS uccisi.
In una di quelle abitazioni, alle Case Grilla, (nella casa dei miei cugini Scopi) vidi un soldato brasiliano che, rientrato dalla linea del fuoco, era in preda ad una forte depressione, tremava e rannicchiato a terra, piangeva.
Intervennero due infermieri (o forse erano due medici), gli fecero una puntura, probabilmente gli diedero qualche pastiglia.
Dopo un po' di tempo, il militare si calmò. Fu caricato su una Jeep e riportato alla linea del fuoco.
Ad altri soldati, il fragore delle cannonate aveva spaccato i timpani. Infatti dalle orecchie usciva il sangue.
Nel cortile di Case Panigali, che per chi proviene da Silla, sono poste tra il bivio di Gaggio ed il centro del paese, i camion brasiliani portavano altre salme, che poi venivano cosparse di polvere bianca (forse calce oppure DDT) ed introdotte in sacchi di tela bianca, con destinazione il cimitero di Pistoia, (ma credo fosse Candeglia).
In tempi precedenti all'arrivo dei brasiliani, il paese di Gaggio era totalmente occupato dai tedeschi.
Noi ragazzi - pur stando alla larga dai soldati - osservavamo cosa essi stessero facendo.
Un militare puliva la canna del proprio fucile Mauser (il famoso TAC - PUM), e la catenella con al termine lo scovolo, gli stava tagliando la pelle della mano destra.
Il soldato ci guardava e con teutonica superiorità malgrado il dolore , continuava nel tirare la catenella.
Ad un tratto improvvisamente apparvero in cielo ed a bassa quota due caccia alleati.
Tutti i tedeschi rimasero fermi, immobili, gli unici che corsero fummo noi.
Ma noi corremmo verso una mitragliera contraerea a quattro canne e cominciammo a manometterla.
Non so cosa ci stessero urlando e minacciando, non conoscevamo le parolacce tedesche.
Gli aerei, dopo alcuni giri sul centro del paese, se ne andarono.
A questo punto i militari ci corsero addosso e chi fu preso si buscò una scarica di botte. Io vidi il militare, quello di prima con la mano sanguinante, precipitarsi verso di me.
Io iniziai a fuggire a tutta velocità, sentivo dietro di me i tacchi ferrati degli scarponi battere sull'asfalto, per due volte sentii la mano tedesca graffiarmi il retro della camicia.
Avevo la bocca aperta e la lingua a penzoloni, il fiato non riusciva più ad entrare in bocca, mi sembrava di soffocare.
Fortunatamente i tacchi degli scarponi tedeschi smisero di fare rumore.
Mi fermai , ero sfinito, mi voltai e vidi con mia grande gioia il tedesco immobile in mezzo alla strada , con le gambe larghe, penzolando in avanti , tentando di farmi minacce, ma anche a lui il fiato non usciva dalla bocca.
Per tornare a casa, dovevo passare davanti alla casa occupata dal Kommando tedesco e sorvegliata da tanti militari.
Attesi la notte e con aria tranquilla , senza mai guardare verso il gruppo dei "tugnein" (tradotto dal bolognese: "tedeschi") mi incamminai.
I miei genitori mi fecero un sacco di domande, ma da me non ottennero alcuna risposta.